Salt Bae, ‘salta’ l’apertura del suo locale a Milano: la colpa è tutta sua | Incredibile retroscena
Il famoso macellaio e ristoratore turco Salt Bae costretto a rinunciare all’apertura del suo locale a Milano. Tutta la verità dietro questa scelta.
Salt Bae, vero nome Nusret Gökçe, è un esempio di come i social possano creare un fenomeno regalandogli popolarità, fama e ricchezza basati sul nulla. O quasi.
Perché diciamo la verità, prima del 2017 chi conosceva questo macellaio e ristoratore diventato famoso per il suo modo di salare la carne? Un gesto ripreso da alcuni commensali del suo locale che è diventato virale e ha fatto di lui una star.
Tutto quello che fa trasuda lusso e opulenza, ogni gesto, ogni immagine condivisa. E ogni piatto venduto nei suoi locali in giro per il mondo, una trentina oggi. Come la bistecca Tomahawk ricoperta di foglia d’oro commestibile venduta a quasi 2000 euro.
Locali sparsi in varie parti del mondo, eppure a Milano almeno per il momento non avremo il piacere di ospitarlo. Come mai?
Salt Bae: il suo locale a Milano non si aprirà
Salt Bae, ormai è così che viene chiamato, è il classico self made man, l’uomo che si è fatto da solo. In una lunga intervista al Corriere ha raccontato le sue umili origini: “A casa mia carne non se n’è mai vista, eravamo così poveri che a tavola c’erano solo una fetta di pane e un pomodoro” e quella voglia di cambiare e fare qualcosa di più. Così armato solo della sua passione parte alla volta dell’Argentina per imparare a tagliare la carne.
E un a volta tornato grazie ad un imprenditore che crede in lui apre il suo primo locale. Il resto è storia e apparenza e, come afferma lui stesso: “Ho cambiato l’industria del cibo e le aspirazioni: prima di me fare il macellaio non aveva appeal. Chi voleva sposare un macellaio? I bambini volevano fare l’avvocato o l’astronauta: ora sognano Nusret”.
Le motivazioni
Tra mille polemiche e anche qualche accusa e causa legale, oggi Salt Bae è comunque famoso in tutto il mondo. I guai giudiziari provengono da alcuni ex dipendenti che lo hanno accusato di aver violato le leggi sul lavoro, discriminare le dipendenti donne e in generale di essere dittatoriale. Ma lui ricusa le accuse e dichiara: “La mia seconda professione è il dottore. Ogni dipendente viene da me ascoltato, valorizzato e può aspirare a girare il mondo. Chi non ha la stoffa non tiene il passo. E sparge fake news”.
Non è una fake news però il fatto che il suo locale a Milano San Babila almeno per il momento non sarà aperto. la motivazione? Spiega: “Vorrei aprire a Milano ma non c’è il posto giusto. Sono alla ricerca di un locale su strada: non voglio un ristorante in cima a un grattacielo, come tutti”. Distinguersi, sempre.